Lucrezio, il poeta-traduttore di Epicuro

"La paura ha creato gli dei"


Tito Lucrezio Caro è considerato, insieme a Catullo, il più grande poeta dell'età cesariana.
Il suo poema, De rerum natura (La natura), espone la filosofia epicurea con grande rigore e anche coraggio, poiché le teorie epicuree erano da sempre state guardate con sospetto a Roma.

Si sa poco sulla nascita del poeta, ma attraverso varie fonti sappiamo che Lucrezio morì a 43 anni lo stesso giorno in cui nacque il grande Virgilio. Poiché sappiamo con certezza che Virgilio nacque nel 55 a.C., facciamo risalire la nascita di Lucrezio nel 98 a.C.
Poco si sa anche sul luogo di nascita del poeta, si pensa sia nato in Campania poiché la Venere descritta nel proemio della sua opera è molto simile alla Venus fisica venerata a Pompei.

La decisione di tradurre in stile epico-didascalico la filosofia epicurea fu molto ardita, in quanto il filosofo Epicuro disprezzava il genere "omerico", che si basava secondo lui sull'invenzione e aveva come finalità l'allontanamento dei lettori dalla realtà.
La decisione di Lucrezio, tuttavia, aveva delle basi profonde: il poeta voleva arrivare agli strati più alti della società, che guardava con sospetto la filosofia epicurea, e per riuscirci non poteva adoperarsi di un poemetto di poco conto, ma di un'opera che "cospargesse col miele delle Muse una dottrina amara".

La dottrina epicurea era malvista agli occhi dei romani poiché da una parte, basandosi sull'esaltazione del piacere naturale, distoglieva la mente dagli affari pubblici; d'altra parte affermava che gli dei non avessero intervento sulle vite degli uomini, corrodendo così la religione ufficiale di cui le alte cariche dello stato facevano uso come strumento di potere.

I temi centrali del De rerum natura sono i principi della fisica epicurea, la teoria del clinamen, le quattro grandi paure dell'uomo e la spettacolarità dei fenomeni naturali.
Lucrezio, però, non prende come esempio solo il mentore Epicuro, ma anche la tradizione poetica di Saffo, poetessa di Lesbo. Qui vi è un esempio dove Lucrezio descrive cosa si prova quando si ha paura:

Vero ubi vementi magis est commota metu mens,
consentire animam tota per membra videmus,
sudoresque ita palloremque existere toto
corpore, et infringi linguam, vocemque aboriri,
caligare oculos, sonere auris, succidere artus,
denique concidere ex animi terrore videmus
saepe homines...

Nel poema didascalico di Lucrezio, che cerca di affiancare alla correttezza scientifica la potenza evocativa del linguaggio poetico, la reazione alla paura nell'uomo viene descritta attraverso un'ode a Saffo.
Rispetto a Catullo, Lucrezio si mantiene più fedele all'originale greco, pur variando in parte l'elenco dei sintomi; il poeta però sopprime il sintomo di "alterazione febbrile", illustrato in Catullo dall'immagine della fiamma, troppo legato alla passione amorosa.
Gli altri sintomi sono descritti da Lucrezio in uno stile asciutto ed essenziale che ci mostra un tratto più "scientifico" dell'ode saffica: la vista "si annebbia", mentre in Catullo "gli occhi vengono coperti da una doppia notte"; le orecchie "risuonano", al posto di "tintinnano di un suono interno".

Altri sintomi descritti nella quarta strofa dell'ode di Saffo, scartati da Catullo, vengono ripresi in Lucrezio: il pallore, il sudore, l'esplicito riferimento alla morte.
Lo scopo di Lucrezio non è comporre una poesia d'amore raffinata, ma fornirci una dettagliata descrizione scientifica; il poeta non omette nessun particolare realistico che possa risultare utile a questo fine.

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