Catullo e l'amore per Lesbia

Ti odio, poi ti amo,
poi ti amo, poi ti odio,
poi ti amo...


Catullo, poeta considerato uno dei maggiori esponenti dei Poetae Novi, nacque probabilmente intorno al 84 a.C. e morì nel 54 a.C.
Il poeta arrivò a Roma nel 60 a.C., in un periodo di grande tumulto poiché la Repubblica stava per finire e l'individualismo politico e culturale era ormai dilagante.

Il circolo poetico cui prese parte fu quello dei neòteroi: la loro maggiore ispirazione era la poesia di Callimaco, poeta greco che maggiormente apprezzava il piccolo èpos, la poesia che lodava l'otium al posto del mos maiorum, concetto troppo lontano dal periodo in cui Catullo viveva.
Frequentando questo circolo il poeta conobbe personalità di spicco come Cornelio Nepote e Quinto Ortensio Ortalo.

Fu proprio a Roma che Catullo conobbe Clodia, il grande amore della sua vita, a cui affibbiò lo pseudonimo di Lesbia, in onore di Saffo, grande poetessa di Lesbo.
Clodia era una donna sposata, nonostante ciò la grande e travolgente passione che vi era tra i due ci viene raccontata nel Liber catulliano, dedicato a Cornelio Nepote: fu la stessa passione sofferenza per il poeta per via delle mancate attenzioni della donna, e il mancato rispetto del patto (foedus), basato sulla fedeltà tra i due (fides).

Nel 57 a.C. il poeta si recò in Bitinia per visitare la tomba del fratello, scomparso prematuramente: fu in questa occasione che compose il carme 101, successivamente ripreso da Foscolo nel sonetto "In morte del fratello Giovanni".


La poetica di Catullo è contenuta nel Liber, composto da 116 carmi, divisi in tre categorie:

  • i primi 60 carmi, chiamati nugae (bagatelle), sono carmi brevi e dedicati a vari temi, tra cui l'amore per Lesbia;
  • carmi 61-68, definiti carmina docta, sono componimenti più lunghi e stilisticamente più elaborati;
  • carmi 69-116, sono epigrammi generalmente brevi.

Il carme che esprime con intensa passione l'amore per Lesbia è il numero 51, che così recita:

Ille mi par esse deo videtur,
ille, si fas est, superare divos,
qui sedens adversus identidem te
spectat et audit

dulce ridentem, misero quod omnis
eripit sensus mihi: nam simul te,
Lesbia, aspexi, nihil est super mi
vocis in ore,

lingua sed torpet, tenuis sub artus
flamma demanat, sonitu suopte
tintinant aures, gemina teguntur
lumina nocte.

Otium, Catulle, tibi molestum est:
otio exsultas nimiumque gestis:
otium et reges prius et beatas
perdidit urbes.

È chiaro il riferimento a Saffo, infatti questo carme non è che una semplice "rivisitazione" di un modello greco e nemmeno una traduzione d'autore: ripetere i versi di Saffo significa per Catullo dichiararsi allo stesso modo preda di una passione devastante che lo conduce verso lo smarrimento, sia dal punto di vista poetico farsi cantore di quella passione.

Una variazione invece si ha con la soppressione della quarta strofa del modello greco. Catullo elimina la parte più sconvolgente del malessere amoroso, contenuta nel modello saffico, e viene sostituita con il riconoscimento del male che l'otium possa provocare alla stirpe umana.

Il linguaggio di Catullo si presenta a tratti ricercato e tendente al modello alessandrino: la lingua in Saffo "si spezza", mentre in Catullo torpet, "si intorpidisce"; il rombo delle orecchie viene reso in latino con un'espressione più lunga e attenta agli effetti sonori; infine, al saffico "gli occhi non vedono più nulla" Catullo sostituisce una metafora raffinata ("una doppia notte ricopre gli occhi") che spiega la perdita di sé alla morte.

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